Alcuni hanno calcolato in modo ingegnosissimo come i nostri sistemi di rappresentanza e di maggioranze siano impotenti ad esprimere l’opinione della maggioranza. Io non so se questi calcoli siano esatti; ma vi sono purtroppo tantissimi casi in cui le opinioni della maggioranza degli eletti vanno in perfetto accordo con quelle della maggioranza degli elettori, e tali opinioni non son di quelle che ci fanno onore.
Altri hanno dipinto con colori assai foschi e quasi sempre esatti l’ignobile mercato delle coscienze, i cinici e sfrontati contratti, le epoche delle declamazioni ciarlatanesche, degli incensamenti, delle menzogne, epoche in cui si matura ciò che si chiama la nostra rappresentanza nazionale. (…)
È stato detto che i parlamenti sono basse officine di affari, in cui non si trattano seriamente che gli interessi del commercio e del denaro. Ammettiamo che ciò non sia completamente giusto. Fra i deputati, come altrove — benché meno di altrove, è cosa indiscutible — vi sono delle brave persone che adempiono con tutta coscienza e in modo disinteressato al loro dovere.
È cosa evidente, come pure è stato fatto notare, che questo dovere non corrisponde a qualche cosa di molto elevato né di molto audace, imperocché, non appena mette piede in un’assemblea deliberante, l’individuo viene immediatamente penetrato dall’irresistibile ambiente di moderatismo e di debolezza ivi dominante. (…)
Il vero capo di accusa contro il parlamentarismo, il più forte e il più grave, il solo che sia inconfutabile e che domini da un punto assai più elevato tutti gli altri, è che il parlamentarismo costituisce una vera scuola di pigrizia morale e di servaggio. Non c’è miglior meccanismo di questo per uccidere negli uomini l’indipendenza, la dignità, l’iniziativa, il gusto e la volontà dell’azione, quanto è a dire, per avvilire a poco a poco i caratteri. (…) Nessuno potrà negare i vantaggi che nella vita pubblica come nella vita privata si ritraggono dall’azione variata, frequente, spontanea e libera. Ora, l’elettore è un uomo che agisce una volta tutti i quattro anni. E in qual modo agisce a questi intervalli così distanti? Unicamente per rimettere nelle mani di un altro il suo diritto di agire. Tutti i quattro anni l’elettore compie una certa formalità che ha la virtù di sbarazzarlo da ogni preoccupazione, di metterlo completamente in regola colla propria coscienza. Come poter ottenere in seguito qualcosa da una coscienza così tranquilla? Qualunque siano le iniziative e le bisogne nuove che possono essere imposte, e sono, infatti, imposte dalle necessità della lotta, qualunque siano ad ogni momento le occasioni per gettarsi in una lotta nuova ed esperimentare tattiche nuove, il buon elettore rimane impassibile, perfettamente incomprensivo, indifferente, perché già una volta ha deposto nell’urna un piccolo pezzo di carta e presto ve ne deporrà un altro. (…)
Votare, per la maggior parte, significa potersi lavare le mani dagli affari pubblici. E qual segreta disposizione non abbiamo noi tutti per il famoso gesto di Pilato?
Che cosa volete mai aspettarvi dalla attività, dalla energia, dalla iniziativa di un uomo, nella lotta politica, quando questo uomo, l’elettore, ha ricevuto da uno specialista in materia politica e da uno specialista circondato da prestigio, l’eletto, l’assicurazione che tutti i suoi desideri saranno prontamente soddisfatti, purché egli, l’elettore, dopo compiuto il suo dovere, se ne rimanga quieto e tranquillo? Come potrebbe agire liberamente, secondo le proprie decisioni e l’ispirazione delle circostanze, colui il quale, col suo voto, ha patteggiato con un partito, ha contratto impegno con l’uomo e col programma di un partito, colui che è egli stesso l’uomo di un partito? (…) In materia di elezioni, è il partito che fa tutto. Ognuno presenta la sua mercanzia, come ogni banco della fiera offre ad ogni compratore un prodotto differente.
E una volta che ciascuno, bene o male, ha ritrovato il suo distintivo, sempre avanti per il partito, di cui ciascuno, sia elettore che eletto, rimane schiavo sino alla vergogna, sino alla infamia.
(Il Parlamentarismo, "La Protesta Umana", 1902)