Ha perso la democrazia. Finalmente!

Nonostante i timori espressi da tutta la classe politica prima dell’appuntamento elettorale, l’incubo dell’astensionismo generalizzato non si è manifestato. Gli scorsi 13 e 14 aprile il Popolo, fedele nei secoli alla propria tradizione di sottomissione e di servilismo, si è diligentemente recato alle urne. Ha votato pressappoco l’80% della popolazione avente diritto. Rispetto a due anni fa, l’astensionismo è aumentato non più del 3-4%. Poco, troppo poco. Evidentemente, il disprezzo per la politica non riesce ancora ad uscire dalle chiacchiere da bar e dalle battute da avanspettacolo.
Ha vinto chi doveva vincere, chi era dato già per scontato vincitore: Silvio Berlusconi. Dovendo scegliere fra un reazionario doc, con i suoi sanguigni tirapiedi, e un reazionario di sponda, con i suoi pallidi chierichetti, gli elettori non hanno avuto dubbi. Il Popolo delle Libertà ha vinto le elezioni con il 47% delle preferenze. Il che significa, tenuto conto dell’astensionismo, che è stato votato da circa 38 elettori su 100. Certo, dal punto di vista matematico non si può dire che rappresenti la maggioranza reale del paese. Ma cosa cambia? Chi non ha votato per la Coca-Cola, ha votato per la Pepsi-Cola. Ciò dimostra la dilagante voglia di bollicine che pervade l’Italia.
Comunque sia, ha trionfato il partito dei condoni per i ricchi e della tolleranza zero per i poveri, il partito della chiusura delle frontiere, il partito del TAV, il partito della base USA a Vicenza, il partito del nucleare, il partito della sicurezza ottenuta con più telecamere e più galere… insomma, l’Italia è un paese sempre più reazionario. Il fatto che gli xenofobi della Lega o il forcaiolo Di Pietro abbiano visto raddoppiare i propri voti la dice lunga in proposito. L’aria che si respira è pessima, quasi drammatica. Si può quindi essere ottimisti.
Sì, ottimisti, perché un risultato straordinario queste elezioni l’hanno ottenuto: la scomparsa dal Parlamento della cosiddetta “sinistra radicale”. Siamo andati a dormire con un presidente della Camera e qualche ministro comunisti, e ci siamo risvegliati con un Parlamento svuotato da comunisti, ecologisti, pacifisti… Tutta la marmaglia progressista recuperatrice delle istanze più radicali espresse dalle lotte sociali si è vista defenestrare senza tanti complimenti. Si tratta di un evento clamoroso che sta suscitando enormi perplessità. Non solo i diretti interessati che per almeno cinque anni non potranno godere dei soliti privilegi, non solo i vari commentatori ed opinionisti, ma gli stessi politici avversari hanno espresso tutto il loro stupore e la loro preoccupazione in merito. La scomparsa dal Parlamento di ogni genere di sinistra è già stata definita «un brutto momento per la democrazia». A ben ragione. Da questo momento in poi, e proprio in un periodo storico gravido come non mai di conflitti sociali, il Parlamento si ritrova privo della sua squadra di pompieri usi a soffocare e spegnere i possibili focolai di rivolta.
Il ruolo dei vari Bertinotti, Russo Spena, Caruso e via intristendo era quello di offrire uno sbocco istituzionale ai movimenti di piazza, di moderare cioè gli appetiti più radicali. Senza di loro, cosa accadrà? Chi potrà cercare, ad esempio, di indurre a più miti consigli una popolazione incazzata per la costruzione sotto casa di una centrale atomica? Chi farà da intermediario e paciere fra manifestanti pieni di rabbia e sbirri assetati di sangue? Nessuno, non c’è rimasto più nessuno a poterlo fare. Senza valvole di sfogo, le tensioni sociali potranno solo crescere fino ad esplodere. Si prefigura all’orizzonte una situazione che mai si era verificata prima d’ora: in assenza di sbocchi istituzionali immediati, tutte le lotte sociali saranno portate a radicalizzarsi e assumeranno l’esplicita caratteristica di lotte contro lo Stato.
Non solo, ma gli stessi militanti della Sinistra Arcobaleno si vedranno ora costretti a giocare la carta dell’estremismo, a dover essi stessi soffiare sul fuoco se vorranno conquistare un minimo di seguito e presentarsi alle prossime elezioni con in pugno qualcosa da barattare. Buttati fuori dal Palazzo, saranno costretti a far ritorno all’agitazione di piazza, ad unirsi ai movimenti sociali di rottura, cercando di cavalcarli non più con le lusinghe della politica ma con l’eccitazione della sommossa. Per la prima volta in Italia non esiste più una sinistra parlamentare, ma solo una sinistra extra-parlamentare.
Ciò avrà notevoli conseguenze non solo nella composizione del cosiddetto movimento, ma anche nella reazione da parte delle istituzioni. Cosa farà, a sua volta, lo Stato? Si comporterà con gli ex-parlamentari come si è comportato in quest’ultimo periodo con tutti i “normali cittadini” che protestano, cioè li inquisirà, li denuncerà, li processerà, li imprigionerà? Vedremo ex ministri caricati e trascinati via brutalmente dalle forze dell’ordine? Anche loro saranno denunciati per il grave reato di “volantinaggio”, com’è accaduto pochi giorni fa ad alcuni compagni a Lecce? Delle due, l’una: o lo Stato reprimerà indistintamente tutte le manifestazioni di piazza, che è facile prevedere si diffonderanno a macchia d’olio nel prossimo periodo, oppure di fronte all’incremento del movimento extraparlamentare sarà costretto a frenare i suoi più bassi istinti.
Comunque vada, resta il fatto che il trionfo della destra più ottusa e reazionaria si è verificato in concomitanza della fine dell’illusione parlamentare che per oltre un secolo ha imbrigliato la protesta sociale. E questo è avvenuto proprio in un periodo storico contraddistinto da una crisi inarrestabile in ogni ambito della società, che non potrà che scatenare sempre nuovi conflitti. È perciò facile prevedere cosa ci riserverà il futuro: l’esercito inviato in Val Susa, ad esempio, e ovunque sorgano contestazioni. La rassegnazione o la rivolta: nessuno potrà più evitare questa alternativa secca. Non c’è più mediazione possibile. Il momento della resa dei conti si avvicina.