Carlo Pisacane
Il sistema rappresentativo è un espediente politico mediante il quale la borghesia tenta di realizzare il principio della sovranità popolare senza abdicare ai suoi privilegi di classe dominante.
L’idea della sovranità popolare è riuscita a prevalere, nel suo significato moderno, in seguito alle rivoluzioni del diciottesimo secolo. Prima d’allora, la sovranità risiedeva nel monarca, nelle caste nobiliari e teocratiche, i quali la detenevano e l’esercitavano per diritto di conquista, per diritto ereditario o in virtù di una mistica investitura divina, in ogni caso in virtù della forza bruta.
Quando il Terzo Stato insorto abbatté la potenza della aristocrazia e, decapitando il re, distrusse il mito della divina investitura dei monarchi, la borghesia, erede delle ricchezze che avevano appartenuto ai signori dell’antico regime, cercò un sistema che le permettesse di legalizzare i privilegi assicuratisi mercè, soprattutto, l’azione insurrezionale del popolo, e di giustificare l’esercizio del potere politico, senza di cui non avrebbe potuto a lungo conservare il monopolio di tali ricchezze. Tale sistema lo trovò innestando all’idea della sovranità popolare l’idea della rappresentanza, con cui il popolo sovrano affidava le funzioni del potere ad un personale eletto per periodi più o meno lunghi, ma in ogni caso appartenente alla classe borghese.
L’idea della rappresentanza è indipendente dall’idea della sovranità popolare ed ha origini diverse. Mentre questa è nata nel crogiuolo della rivoluzione, quella è sorta nelle più dense tenebre del medioevo.
«L’idea dei rappresentanti — scriveva Rousseau — è moderna: ci viene dal governo feudale, da quell’unico e assurdo governo, nel quale la specie umana viene degradata, e il nome dell’uomo disonorato. Nelle antiche repubbliche, ed anche nelle monarchie, il popolo non ebbe mai rappresentanti: neppure conosceva questa parola. È assai strano che a Roma, ove i tribuni erano tanto sacri, non si sia neppure pensato che essi potessero usurpare le funzioni del popolo, e che, in mezzo a una moltitudine così grande, non abbiano mai tentato di trascurare di testa loro un plebiscito… Presso i greci, tutto quello che il popolo doveva fare lo faceva da sé; infatti era continuamente radunato sulla piazza…».
I greci, dunque, concepirono la democrazia non solo come sovranità, ma anche come governo diretto del popolo, cosa che non suscitava problemi insolubili, perché, essendo le repubbliche democratiche della Grecia fondate sull’economia schiavista, soltanto gli uomini liberi erano cittadini e costituivano il popolo, il quale era dispensato dalla necessità del lavoro materiale, eseguito dagli schiavi, e aveva tutto il tempo di dedicarsi alla cosa pubblica.
La democrazia moderna è diversa. L’emancipazione dalla schiavitù e dal servaggio eleva lentamente tutti gli uomini alla dignità di cittadini, creando un problema di numero che anticamente non esisteva.
Ma il sistema rappresentativo si è andato sviluppando indipendentemente da questo problema. Prima ancora che gli schiavi emancipati aspirassero alla dignità di cittadini, i monarchi sentirono la necessità di dar loro l’illusione di partecipare alla cosa pubblica. [...] Le origini del sistema rappresentativo rimontano all’oscura epoca del medioevo, allorché il cristianesimo e la feudalità si dividevano la direzione del gregge umano. La posizione dei “villani” diventava alle volte insopportabile, essi delegavano qualcuno dei loro a presentare la lista delle loro lamentele al signore. Questi poveri paria personificavano allora, di fronte al diritto assoluto e divino, la miserabile esistenza della gleba governata. Era la prima rappresentanza, l’Inghilterra ne fu la culla. Appena terminata la sua missione, questa misera delegazione si scioglieva, e non si sa precisamente per quale oscuro lavoro dei secoli si sia trasformata nelle potenti assemblee parlamentari odierne.
Si ingannerebbe, tuttavia, chi supponesse che le delegazioni dei villani avessero, in quei lontani tempi di assolutismo regio, origini spontanee. È più probabile che i villani malcontenti ricorressero alla rivolta che alla petizione al sovrano per mezzo di rappresentanti scelti di comune accordo, i quali si sarebbero esposti a perdere la testa se il sovrano avesse trovato insopportabile il loro ardire.
Negli archivi della monarchia inglese si trovano le documentazioni di più umili e tutt’altro che democratiche origini del sistema rappresentativo. Vi si trova, per esempio, un’ordinanza del re Enrico III, che risale al 1254. I nobili — i Lord temporali e spirituali — vanno ancora oggi personalmente e di diritto a sedere in Parlamento, dove rappresentano se stessi e la classe che insieme costituiscono. Col documento suaccennato, Enrico III invitava i Lord a prendere il loro posto nel Parlamento e, inoltre, impartiva agli sceriffi di tutte le contee del regno l’ordine di provvedere a che «si presentino davanti al Consiglio dei Re due buoni e discreti cavalieri che gli uomini della contea avranno scelto a questo scopo, in luogo e vece di tutti loro, onde esaminare insieme ai Cavalieri delle altre contee quali aiuti dare al re» (The Encyclopedia Britannica, voce: Representation).
Qui si trova già l’essenza del sistema rappresentativo in regime di privilegi economici e politici. Non sono i villani che prendono l’iniziativa di mandare i propri rappresentanti al re; ma è il re che ordina, per mezzo dello sceriffo, l’invio dei rappresentanti al Consiglio, e non vuole che siano villani, prescrive che siano «buoni e discreti cavalieri». Il re vuole che i fondi che saranno stanziati in suo favore abbiano il consenso dei rappresentanti del popolo, ma lo sceriffo deve vigilare a che tali rappresentanti siano persone per bene, cioè ligie al re. In altre parole, il re si preoccupa non già che i rappresentanti eletti dalle contee rappresentino gli uomini delle contee stesse; si preoccupa, invece, che rappresentino gli interessi del re.
La finzione della rappresentanza politica è già trasparente in quel vecchio documento. Nella generalizzazione attuale del sistema rappresentativo cambiano i nomi, ma la sostanza è la stessa. Il popolo sovrano elegge i suoi rappresentanti, ma i suoi rappresentanti — come i buoni e discreti cavalieri di Enrico III d’Inghilterra — devono essere innanzitutto buoni cittadini, devoti all’ordine costituito, cioè rispettosi del diritto della proprietà privata, dei monopoli capitalistici della ricchezza sociale, dell’autorità dello Stato; vale a dire, devono rappresentare non la volontà, le aspirazioni o gli interessi di coloro che li eleggono, ma il dominio, l’autorità e i privilegi che l’ordine costituito consacra e protegge.
(da Il sistema rappresentativo)